ASSEGNO DI MANTENIMENTO NEGATO ALLA MOGLIE ABILE AL LAVORO

Con la sentenza n. 11870/2015 la Corte di Cassazione ha confermato i due provvedimenti dei giudici di merito che avevano negato il riconoscimento dell’assegno di mantenimento alla moglie casalinga, che in sede divorzile sosteneva di essere impossidente e di non essere in grado di mantenere il medesimo tenore di vita garantito dal reddito del marito in costanza di matrimonio. La stessa adduceva che il marito, percettore di reddito da lavoro dipendente, viveva ormai con un’altra compagna, da cui aveva avuto una figlia, ed era un disoccupato apparente poiché simulava il suo collocamento a riposo ma in realtà continuava la sua attività, percependo altresì la disoccupazione. Nonostante le sue asserzioni la donna non provava il tenore di vita goduto durante il matrimonio né la convivenza del marito con la nuova compagna, mentre era fuori discussione il peggioramento delle condizioni economiche dell’uomo derivato dalla nascita della figlia e dalla perdita del lavoro a causa di una contestazione disciplinare. La donna, dal canto suo, risultava idonea e abile al lavoro e svolgeva lavori saltuari.

I giudici di merito non rilevavano la sussistenza dei presupposti per riconoscere l’assegno post matrimoniale. La Corte di Cassazione ha affermato che ai sensi dell’art. 5 della L. n. 898/1970l’accertamento del diritto all’assegno divorzile dev’essere effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto” ma la liquidazione in concreto dell’assegno va compiuta “tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”. Inoltre, nell’ambito di questo apprezzamento, occorre guardare non solo ai redditi e alle sostanze del richiedente l’assegno, ma anche a quelli dell’obbligato, i quali ha aggiunto la S.C. “assumono rilievo determinante sia ai fini dell’accertamento del livello economico-sociale del nucleo familiare, sia ai fini del necessario riscontro in ordine all’effettivo deterioramento della situazione economica del richiedente in conseguenza dello scioglimento del vincolo”.

Per cui, per poter determinare il tenore di vita mantenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio, occorre conoscerne “con ragionevole approssimazione le condizioni economiche dipendenti dal complesso delle risorse reddituali e patrimoniali di cui ciascuno dei coniugi poteva disporre e di quelle da entrambi effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari, mentre per poter valutare la misura in cui il venir meno dell’unità familiare ha inciso sulla posizione del richiedente è necessario porre a confronto le rispettive potenzialità economiche intese non solo come disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore”.

I giudici non hanno avuto bisogno di disporre accertamenti d’ufficio (peraltro affidati alla loro discrezionalità) attraverso la polizia tributaria, per indagare sui redditi dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, ritenendo raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno alla moglie, sia in virtù dei riscontri forniti dall’ex marito, che della totale carenza di dimostrazione da parte della donna dell’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha confermato l’insussistenza dei presupposti indispensabili per l’attribuzione dell’assegno di mantenimento.

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