Omesso versamento Iva e ritenute: doppia sanzione

In caso di omesso versamento è possibile il concorso tra reato ed illecito amministrativo. E’ quanto emerge dalla sentenza 12 settembre 2013, n. 37424 delle Sezioni Unite Penali, con la quale si evidenzia come il reato di omesso versamento IVA (art. 10-ter del d.lgs n. 74 del 2000) – entrato in vigore il 4 luglio 2006 – è applicabile anche alle omissioni dei versamenti IVA relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.

 

Di particolare importanza è il rapporto intercorrente tra illecito penale e violazione amministrativa. In particolare, gli ermellini affermano che “fra il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-ter, inserito dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, entrato in vigore il 4 luglio 2006 (il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta), e il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1 (che assoggetta alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato chiunque non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze periodiche, i versamenti dei debiti IVA), intercorre un rapporto non di specialità ma di progressione illecita, che comporta l’applicabilità congiunta delle due sanzioni”.

Ad avviso dei giudici, tra i due illeciti di omesso versamento di Iva e ritenute (quello amministrativo e quello penale) vi sarebbe un rapporto che non è di specialità, bensì di progressione.

Infatti, sempre secondo i giudici di legittimità, “la fattispecie penale costituisce una violazione molto più grave di quella amministrativa la quale, pur contenendo necessariamente quest’ultima, la arricchisce di elementi essenziali che non sono riconducibili alla specialità, in quanto recano decisivi segmenti comportamentali che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell’illecito amministrativo”.

Alcune considerazioni anche in merito all’elemento soggettivo del reato: osservano gli ermellini che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico. Sebbene molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedano che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter. “Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore”.

Di conseguenza, “la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di Euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto”.

Per approfondimenti:

Il processo tributario: tecniche di difesa, accertamento esecutivo, reclamo e mediazione, Altalex Formazione.
(Altalex, 27 settembre 2013. Nota di Simone Marani)

Pubblicato in Aggiornamenti.