La rettificazione di attribuzione di sesso è prevista dalla L. n. 164/1982. L’Art. 3 della predetta legge prevede che in caso di adeguamento dei caratteri sessuali mediante intervento chirurgico sia necessaria l’autorizzazione del Tribunale. Il soggetto che intende avviare la riattribuzione chirurgica di sesso deve seguire un percorso psicologico con un professionista che lo aiuterà nel decidere come cambiare identità e nelle modalità da seguire. Questo perché l’interessato potrebbe decidere di procedere esclusivamente alla riassegnazione del sesso senza affrontare l’intervento che da diversi anni non è più necessario. Invero, la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 15138 del 2015 ha stabilito che è sufficiente solo l’autorizzazione da parte del giudice sulla base del ricorso presentato dall’avvocato della persona interessata, risolvendo il dubbio di molti transessuali che vogliono solo cambiare identità senza intervento chirurgico da uomo a donna o viceversa. Ciò comporta che è possibile ottenere la rettificazione del sesso da uomo a donna oppure da donna a uomo solo sui documenti, senza la necessità di un intervento chirurgico.
Ove invece l’interessato abbia deciso di affrontare l’intervento consistente nell’asportazione degli organi della riproduzione dovrà sottoporsi ad un percorso complesso che si sviluppa in diverse fasi. L’asportazione degli organi riproduttivi, in assenza di patologie organiche che la giustifichino, è vietata nell’ordinamento giuridico italiano perché lesiva dell’integrità della persona. Per questa ragione è necessario presentare un ricorso dinanzi al Tribunale corredato di perizia psicologica, con la diagnosi di disforia di genere; perizia endocrinologica, con la prescrizione della cura ormonale già iniziata; certificato di stato libero, per dimostrare di non essere sposati. Tali documenti sono utili per velocizzare l’iter. Alla prima udienza è obbligatorio l’intervento del Pubblico Ministero. Il Giudice nominerà un consulente (psichiatra) il quale valuterà il diritto del ricorrente ad ottenere un sesso diverso e lo autorizzerà a sottoporsi all’intervento indicando il tipo di operazione da effettuare. Prima dell’intervento l’istante si sottopone ad una cura ormonale con l’ausilio di un endocrinologo che può anche proseguire dopo l’operazione. La prima fase si conclude con la sentenza del giudice il quale autorizza gli interventi chirurgici che sono a carico del SSN e vanno effettuati in struttura pubblica.
Questa prima fase si conclude con la pronuncia di una sentenza con la quale il giudice autorizza gli interventi chirurgici. Interventi, questi, che sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale e che vanno effettuati presso una struttura pubblica.
Nel caso specifico, l’autorizzazione del giudice è necessaria in quanto un medico non potrebbe mai rimuovere un organo sano e in buone condizioni di salute. Il ricorso alla modificazione chirurgica risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in quei particolari casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. In tal senso, quindi, il trattamento chirurgico non si configura come prerequisito necessario per accedere al procedimento di rettificazione, bensì come un possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico.”
Subito dopo l’intervento inizia la seconda fase del procedimento che si svolge in camera di consiglio e si conclude con l’accertamento dell’avvenuta rettifica dal punto di vista anatomico.
Terminati i vari interventi chirurgici occorre, nuovamente, ricorrere al giudice per ottenere la richiesta di rettifica anagrafica. Alla richiesta deve essere allegata la cartella clinica del richiedente per dimostrare l’avvenuta modifica dei caratteri sessuali primari.
Il giudice, se lo ritiene necessario, può disporre una perizia tecnica d’ufficio (ove la documentazione medica è carente) al fine di accertare le condizioni fisiologiche del ricorrente.
Con la sentenza di rettifica anagrafica il tribunale dispone all’ufficiale di stato civile del comune in cui è stato compilato l’atto di nascita di provvedere alla rettificazione nel relativo registro.
Possiamo concludere, dunque che a seguito dei provvedimenti di riattribuzione del sesso e di rettifica anagrafica è possibile cambiare i documenti del transessuale, come l’atto di nascita, la carta di identità, la patente, il diploma, la laurea e, in generale, tutti i documenti. Fanno eccezione l’estratto integrale di nascita e del casellario giudiziario.
La rettifica del sesso è accompagnata dalla modifica del nome, ciò al fine di evitare divergenze sui registri anagrafici. Competente ad effettuare la correzione sul registro è l’ufficiale di stato civile del domicilio di chi ne fa richiesta.
La legge stabilisce che, a seguito della rettifica di sesso, nessuna traccia debba permanere circa il sesso e il nome originari del richiedente e ciò a salvaguardia della privacy e del futuro inserimento dello stesso nella società.
Al soggetto che ha provveduto alla rettifica del sesso è consentito contrarre matrimonio o sposarsi nuovamente.
Ove il soggetto fosse già sposato, la riattribuzione del sesso comporta lo scioglimento del vincolo matrimoniale. A tale conseguenza, se i coniugi non intendono sciogliere il vincolo matrimoniale, c’è una soluzione. Viene in loro soccorso la legge sulle unioni civili che al comma 27 dell’art. 1 ha stabilito che “alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Viceversa, la rettifica intervenuta su una persona che ha precedentemente contratto un’unione civile, provoca lo scioglimento dell’unione ma consente alla coppia di contrarre matrimonio perché i soggetti saranno a tutti gli effetti di sesso diverso.